Testi

Canto di Achab

(S. Menza)

Notte che ride (Ph. G. Addamo)

E Dio, sì, Dio lo sa se lo amo il mare
e il suo richiamo sa se mai ho deluso.
Dondola il mio destino e fa sognare
l’occhio mio chiuso.
 
La gamba mia incastrata al ponte, e, in testa,
la vena al vento grida all’occidente.
La stiva un ventre e tutta danza questa
festa danzante.
 

 

Maledetto sestante,
sai dirmi dove sono, non dove devo andare...
Maledetto sestante,
sai dirmi dove sono, non dove devo andare...
 
Più il cielo è terso e meno so pregare,
come chi tema il peso di uno sguardo.
Ripenso a quanto valse navigare,
così m’attardo.

 

 
Che più si viaggia e vede e prova e sente,
meno si crede d’aver mai viaggiato,
né visto mai in passato o nel presente,
né mai sentito.
 
Maledetto sestante,
sai dirmi dove sono non dove devo andare...
Maledetto sestante,
sai dirmi dove sono non dove devo andare...

 

 
Bussola avvelenata, bene e male,
sai dirmi dove vado, non da dove vengo.
Avresti immaginato mai che fosse
tanto pesante,
 
il viaggio, o sestante?
Sai dirmi dove sono, non dove devo andare...
Maledetto sestante,
sai dirmi  dove sono, non dove devo andare...
 
Ciò tutto scelsi e guarda a quale prezzo...
Quella mia vita monca lì nel porto,
o dolce sogno di promesse e inganni,
a un amore, a dei figli, a un cane storto.

 

A un occhio e ad una gamba, ai miei vent'anni,
i miei vent'anni...
 

Storia d'amore fra un ramo e una foglia

(S. Menza)

E Matteo lo gridavano scemo, sapesse picchiare.
E sua madre gli rimproverava di essere triste.
Non riusciva a capire che cosa ci fosse da ridere, da festeggiare.
Quanto poco bastava alla gente per esser felice.
Ma Matteo era l'unico a saper parlare alle foglie.
Fu così che si accorse di una che viveva ancora.
Era nera e ballava la danza del vento maligno di un'ultima aurora.
Aggrappata al suo ramo vibrava di nuova paura,
il trentuno dicembre di una stagione troppo scura.
 
Ed il ramo silente sentiva la frale presenza
“Com’è strano – pensava –  che ancora non sia pur partita.
È che in questa stagione  non ho più rumore né ombra  e la gente è lontana.
L'anno scorso, ricordo, soccorsi un passero ferito.
Lui guarì, poi partì, ma io no che non sono guarito...
 
e non so se davvero ti amo,
non so, non so" – disse alla foglia il ramo –
"chissà, chissà, se sia il vento che muova
non so, non so che felicità nuova".
 
Ed intanto la stretta si faceva sempre più lenta,
mentre il sole più in fretta taceva ubriaco di nubi.
È l’inverno brumoso, l'inverno che bussa più forte perché tu lo senta.
E la foglia scampata all'autunno già nera al suo ramo sul vento piangeva
 
"Io qui, io qui, io che t'ho sempre amato,
io no, io no, che non t'ho abbandonato;
è qui, è qui, che voglio riposare.
Tu, tacito, tu rimani a guardare
e non so, non so se non puoi o se fingi.
In questo dirupo non mi tieni né spingi.
Ed hai pianto, o no, per le sorelle andate?
nemmeno io tornerò quest'estate".
 
Ed il ramo rispose alla foglia :"Così va la vita:
oggi verde ed ombroso, domani ho stecchite le dita.
E va avanti da quasi cent'anni, vi amo sei lune e sei altre sto solo
e anche tu avrai paura di un filo di vento, di un tuono
e ad un tratto dimenticherai il mio nome e chi sono".
 
E Matteo pianse lacrime dietro alla foglia che cadde.
Mentre precipitava nel vuoto in mano la raccolse.
Un ragazzo con pochi pensieri ne rise  e il suo male gli prese a sputare.
Lui rispose "mi spiace, è da un po' che non riesco più a odiare".
Gli rispose "mi spiace, è da un po' che non riesco più a odiare".
 

 

Il pesce, il tempo, il vecchio, il bimbo

(S. Menza)

Il vecchio sognatore si grattava il viso al sole,
la sua ombra mi copriva per tre volte almeno, e le ore
gli passavano sul petto rosso e un passo separava
il cielo e il nero delle ombre,
e del catrame delle barche in acqua.

 

Raccontava di grandi avventure in mare aperto,
quando il nervo e il pelo permettevano
e il concerto è grande dei gabbiani
sulle nostre teste. Basta un fischio

 

al sole e il cielo è già coperto.
 
Grida, grida, se hai voce in gola.
Corri, corri, finché c'è suola.
Stringi, stringi la lenza forte
e il filo è di sangue dentro le mani.
 
Ed è lo stesso sangue di una triglia rossa rossa.
Il sole e il sale brilla ancora. La ferita sua non passa.
Con un sol volo è dentro al cesto, lei unica regina
al posto giusto fra le anime azzurre:
è il cuore che si guasta.
E ancora si dimena, poi basta.
Raccontava all'ingenuo cuore mio le sue paure,
quale corrente l'aveva strappata via al suo amore

 

e alla sua casa un tempo immensa, adesso
chiusa e circoscritta
da una legge nuova e sconosciuta
e una tassa sulla vita.
Ma si dimena a un tratto e vola.
 

 

Salta, salta, non ti fermare.
Salta, salta, è vicino il mare.
Avessi anch'io la forza di volare, volerei.
Volare, volerei, ti giuro.
Quella cassetta è lieve muro.

 

Salta, salta: non è lontano.
Davanti a te non c'è nessuno
e dietro la tua inusitata ombra a minacciarti.
Basterà il fiato a non bruciarti?
Il vecchio sembra avere freddo,
eppure il sole è forte
sulle mie ginocchia sempre sbucciate,
è il sale che le brucia.
Il vecchio sembrava dormire
ed io lì ad aspettare e un po'
a sperare che non si svegliasse
ancora per un poco.
La tua fortuna è la sua morte,
che strano gioco della sorte.
 
Salta, salta, non ti fermare.
Salta, salta, è arrivato il mare.
Non ti ha visto, né può vederti.
Questo è il momento di salutarti.
Salta, salta, perché ti fermi?
Salta o gli attimi sono eterni.
Salta, salta, che il tempo è sordo.
Salta, salta, che il tempo è ingordo.
Salta, salta, che il tempo è sordo.
Non fermarti proprio sul bordo...
 
Fu la tua vita la sua sorte,
mio caro vecchio gambe corte.
Tanto aspettasti per partire
che il porto ti ha rubato il cuore.
 

Il mangiafuoco

(S. Menza)

Da bambino temevo l'alta torre
che piccolo il giardino giù rendeva;
così, solo, riconquistai il mio cielo
di quercia e come drappo ne pendevo:
fui foglia di libeccio, istante, terra.
 
Da bambino temevo le percosse
che il vento ai molli giunchi inferiva,
fino a baciar la sabbia, e, all'orizzonte,
confondersi di lacrime alla riva.
E così mi trovarono a picchiare
col viso e il grido di pianto impastato.
 
M'innamorai non mille, ma una volta.
Del fuoco, e me ne bruciai.
Così oggi a te davanti il fuoco ingoio,
siccome tu tracanni l'acqua o il vino.
Ma al buio un lampo mio donai.
 
E adesso temo il tempo e la vecchiaia.
Non c'è sapore che io non abbia udito:
sconfitta, umiliazione, ansia, vittoria,
dolore, odio, amore, gioia piena.
E tu, amico stupito, stenti a credere
che io li distingua ancora nella gola.
 

Tropico del Capricorno

(S. Menza)

Dieci gradi al di sopra del Tropico del Capricorno
Con un'ansia crescente la piena si spiega,
dipana e ripara a levante
Ma che belli i tuoi occhi
mattine d'aprile di lepri e rugiada
così le tue mani che indugiano
Sulle mie mani
E sarà come un vento di siepe
Un sipario di sogni, un silenzio di stelle,
un sorriso di sole e sonagli
E caviglie che girano in tondo una danza
Che bello scoprirti più bella su questa cadenza
Che batte e riparte
E ci trascinerà...
 
Passa presto, passa questo temporale
Alba seta crepuscolo stella altare
Orizzonte magnetico carnevale
Uomini si diventa inseguendo un miraggio normale
Il coraggio di prendere fiato e saltare
 
Bussa al mio cuore ingenua
la gioia delle tue ginocchia
Passa bassa e costante mi morde delicatamente
con un solo dente
Il Brasile non è un'abitudine,
un codice, un indice
Un gesto, piuttosto, un'America semplice
Rossa di polvere
Ci dimenticherà....
 
Passa presto, passa questo temporale
Manganesio vertigine cattedrale
Nebbia elettrica iride fango e sale
Uomini si diventa col vento che soffia fra le ossa
Col dolore del cuore che sembra passare e non passa
Col dolore del cuore che sembra passare...
 
Passa presto, passa questo temporale
Manganesio vertigine cattedrale
Nebbia elettrica spirito sangue e sale
Uomini si diventa col vento che soffia fra le ossa
Col dolore del cuore che sembra passare e non passa
Col dolore del cuore che sembra passare... e non passa
 
Ombra dell'aeroplano

San Lorenzo

(S. Menza)

In questa notte lontana
dalle insegne di macelleria
ognuno cerca una stella insicura
per poi seguirne la scia.
Io seguo il suo profilo,
che mi porterà ai confini del giorno,
dove finiscono i puntini scaduti
che si son tolti di torno.
 
Ma Laura non ci crede,
gli occhi lucidi, severi.
Al largo il nero dondolio di ignari prigionieri.
Intanto, nelle mani opachi colleziono mondi,  ed atomi leggeri.
Per poco, poi li lascio rotolare soli
su una sabbia senza nomi, senza desideri.
 
In questa notte lontana dalla nostra ultima lotteria,
in questa lacrima di universo, su questo sciame Perso,
ho un’altra donna al mio fianco
che non sa di essere mia,
ed io non so tenere banco alla sua nostalgia.
 
E sono solo, da solo, a sognare,
e sono solo a volare.
Mi siedi accanto, ma volo da solo.
Tiepido mi sfiora il cielo.
Croce di controcanto,
stanotte ho più paura
di questo sentimento che di ferirti ancora.
Guardami adesso al buio e immaginami più bello.
Lontana brilla Venere il suo sorriso di coltello.
Poi un'alba rinnegata,
incredula, segreta.
E, dentro a una foto scolorita,
mi riconosco a stento, il vento mescola lo sfondo, è tua la mia ferita.
Sul fondo della biglia colorata
ormai s'avvolge morbida una vela finta ed infinita.
 
E sono solo, da solo, a sognare,
e sono solo a volare.
Mi siedi accanto, ma solo io volo.
Concavo mi inonda il cielo.
 
E sono solo, da solo, a sognare,
e sono solo a volare.
Mi siedi accanto, ma volo da solo.
Tiepido mi sfiora il cielo...

 

Praga

(S. Menza)

Praga, agorà, rigurgita la tua essenza,
regalami un legame di metallo.
Praga, prega per me, ridammi una costanza,
galvanizzarmi adesso è chiaramente un’incoscienza.
 
Praga, rogo di pergamo, ampia croce slava,
verga nel gorgo vario il tuo tormento.
Praga, soprano spirito della Moldava,
argine, agone, argano, ardimento.
 
Kdy vas opet uvidìim?
 
Praga è una gara,
ragazza, zagara, luna.
Da zero ad una radice
di gelso.
 
E dalla stazione di Gorizia verso nord
la regola greca dei viandanti.
Pellegrini o mercenari, una strada c’è:
il glicine incerto dei duellanti.
 
Praga, ricamo d’agave, velata assenza,
lacrima infinitesima del cosmo.
Praga, disvelami la trama dell’organza,
andito inaccessibile alla nostra intelligenza.
 
Praga, nelle tue agapi rivedo al fondo
redove di utraquisti in tondo e stelle.
E un cerchio di parole brille come neve,
il millenovecentoventinove.
 

 

Cartolina da Ostiglia

(S. Menza)

 

Il Po nella tua cartolina scorre

 

con più colori che in fotografia
e adesso me l'immagino così:
a sfumature di bianco e di nero
in quella luce incerta dei tuoi tratti.
Colombe ed aquile han trovato casa
sul tetto arso della torre di Ostiglia
che non ho mai veduto né vissuto,
eppure provo tanta meraviglia,
come se fossi stato lassù in cima:
 
il fiume una pozzanghera sembrava
nell'erba di un giardino d'oro e giunchi.
Solo una casa sembra rida al sole,
le altre fissan basso scure scure.
Nel tuo sembran tenersi per i fianchi
come due sposi dell'amore stanchi.
 
Ed un arbusto spettinato ai bordi
di un isola di cui non so i contorni
si riflette nel chiaro delle acque
fra il mare tuo ed aspetto che ritorni,
fra il nome tuo ed aspetto che ritorni...
 
 
Notte che ride (Ph. G. Addamo)

Canto di Achab

(S. Menza)

E Dio, sì, Dio lo sa se lo amo il mare
e il suo richiamo sa se mai ho deluso.
Dondola il mio destino e fa sognare
l’occhio mio chiuso.
 
La gamba mia incastrata al ponte, e, in testa,
la vena al vento grida all’occidente.
La stiva un ventre e tutta danza questa
festa danzante.
 
Maledetto sestante,
sai dirmi dove sono, non dove devo andare…
Maledetto sestante,
sai dirmi dove sono, non dove devo andare…
 
Più il cielo è terso e meno so pregare,
come chi tema il peso di uno sguardo.
Ripenso a quanto valse navigare,
così m’attardo.
 
Che più si viaggia e vede e prova e sente,
meno si crede d’aver mai viaggiato,
né visto mai in passato o nel presente,
né mai sentito.
 
Maledetto sestante,
sai dirmi dove sono non dove devo andare…
Maledetto sestante,
sai dirmi dove sono non dove devo andare…
 
Bussola avvelenata, bene e male,
sai dirmi dove vado, non da dove vengo.
Avresti immaginato mai che fosse
tanto pesante,
 
il viaggio, o sestante?
Sai dirmi dove sono, non dove devo andare…
Maledetto sestante,
sai dirmi  dove sono, non dove devo andare…
 
Ciò tutto scelsi e guarda a quale prezzo…
Quella mia vita monca lì nel porto,
o dolce sogno di promesse e inganni,
a un amore, a dei figli, a un cane storto.
A un occhio e ad una gamba, ai miei vent’anni,
i miei vent’anni…

Storia d’amore fra un ramo e una foglia

(S. Menza)

E Matteo lo gridavano scemo, sapesse picchiare.
E sua madre gli rimproverava di essere triste.
Non riusciva a capire che cosa ci fosse da ridere, da festeggiare.
Quanto poco bastava alla gente per esser felice.
Ma Matteo era l’unico a saper parlare alle foglie.
Fu così che si accorse di una che viveva ancora.
Era nera e ballava la danza del vento maligno di un’ultima aurora.
Aggrappata al suo ramo vibrava di nuova paura,
il trentuno dicembre di una stagione troppo scura.
 
Ed il ramo silente sentiva la frale presenza
“Com’è strano – pensava –  che ancora non sia pur partita.
È che in questa stagione  non ho più rumore né ombra  e la gente è lontana.
L’anno scorso, ricordo, soccorsi un passero ferito.
Lui guarì, poi partì, ma io no che non sono guarito…
 
e non so se davvero ti amo,
non so, non so” – disse alla foglia il ramo –
“chissà, chissà, se sia il vento che muova
non so, non so che felicità nuova”.
 
Ed intanto la stretta si faceva sempre più lenta,
mentre il sole più in fretta taceva ubriaco di nubi.
È l’inverno brumoso, l’inverno che bussa più forte perché tu lo senta.
E la foglia scampata all’autunno già nera al suo ramo sul vento piangeva
 
“Io qui, io qui, io che t’ho sempre amato,
io no, io no, che non t’ho abbandonato;
è qui, è qui, che voglio riposare.
Tu, tacito, tu rimani a guardare
e non so, non so se non puoi o se fingi.
In questo dirupo non mi tieni né spingi.
Ed hai pianto, o no, per le sorelle andate?
nemmeno io tornerò quest’estate”.
 
Ed il ramo rispose alla foglia :”Così va la vita:
oggi verde ed ombroso, domani ho stecchite le dita.
E va avanti da quasi cent’anni, vi amo sei lune e sei altre sto solo
e anche tu avrai paura di un filo di vento, di un tuono
e ad un tratto dimenticherai il mio nome e chi sono”.
 
E Matteo pianse lacrime dietro alla foglia che cadde.
Mentre precipitava nel vuoto in mano la raccolse.
Un ragazzo con pochi pensieri ne rise  e il suo male gli prese a sputare.
Lui rispose “mi spiace, è da un po’ che non riesco più a odiare”.
Gli rispose “mi spiace, è da un po’ che non riesco più a odiare”.