Un mangiafuoco
(S. Menza)
Da bambino temevo l’alta torre
che piccolo il giardino giù rendeva;
così, solo, riconquistai il mio cielo
di quercia e come drappo ne pendevo:
fui foglia di libeccio, istante, terra.
Da bambino temevo le percosse
che il vento ai molli giunchi inferiva,
fino a baciar la sabbia, e, all’orizzonte,
confondersi di lacrime alla riva.
E così mi trovarono a picchiare
col viso e il grido di pianto impastato.
M’innamorai non mille, ma una volta.
Del fuoco, e me ne bruciai.
Così oggi a te davanti il fuoco ingoio,
siccome tu tracanni l’acqua o il vino.
Ma al buio un lampo mio donai.
Adesso temo il tempo e la vecchiaia.
Non c’è sapore che io non abbia udito:
sconfitta, umiliazione, ansia, vittoria,
dolore, odio, amore, gioia piena.
E tu, amico stupito, stenti a credere
che io li distingua ancora nella gola.